Inaugurazione sabato 22 Aprile 2023 ore 18.00
Due artisti si incontrano lungo i rispettivi tracciati creativi, nella “metafisica delle immagini e della luce” delle icone, secondo la profonda lettura che ne ha dato Pavel Florenskij. Nicola Cisternino giunge a confrontarsi con il concetto di iconòstasi, “confine fra il mondo visibile e il mondo invisibile”, in un vero e proprio Cammino di ricerca dove il suono e il segno sono inseparabili compagni di viaggio. In Cisternino il lavoro artistico è rappresentazione di un anelito di armonia universale, un anelito che spinge al cammino, fino alle “Porte regali” -soglie di luce- che evocano archetipi. Florenskij descrive chiaramente e minuziosamente come possa avvenire che la sostanza materiale delle icone dipinte secondo il canone tramandato “desti nella coscienza una visione spirituale”, sia per chi ha già contemplato, sia per chi conserva “una percezione spirituale profondamente assopita al di sotto della consapevolezza”.
In questo contesto visivo, già di per sé evocativo, Cisternino aggiunge l’installazione di una fonte sonora: il Gopy-Yantra, ispirato ad uno strumento di richiamo dei monaci questuanti bengalesi. La sua forma concava, generante suono, riprende il tema della coppa-Grembo presente nella Trinità di Andrej Rublev.
Scrive Nicola Cisternino:
“Così nel campo della contemplazione sovrasensibile: il mondo spirituale, invisibile non è in qualche modo lontano, ma ci circonda; e noi siamo come sul fondo dell’oceano, siamo sommersi nell’oceano di luce, eppure per la scarsa abitudine, per l’immaturità dell’occhio spirituale, non notiamo questo regno di luce, nemmeno ne sospettiamo la presenza e soltanto col cuore indistintamente percepiamo il carattere generale delle correnti spirituali che si muovono attorno a noi.” (Pavel Florenskij)
Le Porte Regali, un gruppo di Preghiere per Florenskij iniziate nell’estate 2015, appartengono al lungo ciclo delle Preghiere inaugurate dalle Preghiere Tibetane dalla fine degli anni Novanta. Le riflessioni su Pavel Florenskij a partire dal celebre libretto Le Porte Regali Saggi sull’icona scoperte e portate in Occidente da Elémire Zolla sono state e sono un costante dialogo sensibile con la lucidità tagliente e mirabile del monaco, teologo e matematico russo, avvolto e a tratti indissolubile ai miei occhi da quell’Andrej Rublev, pittore iconico della celebre Trinità ispirata alla visione abraminica alle Querce di Mamre del 1422, nell’altrettanto mirabile ritratto portato a noi dal cinema di Andrej Tarkovskij. Florenskij e Rublev, due monaci lontani nel tempo, (Rublev nella metà del Quattrocento e Florenskij nella prima metà del Novecento) che trattano e parlano a noi quella lingua che Raimon Panikkar definisce nella Beata Semplicità, ovvero quella del Monaco in quanto archetipo profondo della tipologia umana che va ben oltre l’abito (che non fa il monaco).
“L’archetipo monastico non è una specializzazione, e per questo non ci chiede che ci ritiriamo dal mondo… Proprio perché non è una specializzazione, il monaco rappresenta un archetipo umano e comprende sia la vita familiare, l’attività politica che quella professionale. E questo è una novità, perché se un tempo i monaci ebbero potere politico ed economico, lo fecero malgrado fossero monaci. Oggigiorno, invece, il monaco lo fa come una persona che non ha rinunciato al mondo, ma al proprio ego(ismo). Il monaco non è essenzialmente un’istituzione, ma una vocazione – umana. “
(Raimon Panikkar)
L’iconostasi del tempio, quella soglia o confine tra il mondo visibile (o sensibile) e quel mondo invisibile (o intelligibile) che costituisce fisicamente nel tempio lo ‘schermo del santuario’ nel quale si collocano le ‘scritture’ iconiche (ciò che impropriamente consideriamo pitture) è quel Mundus Imaginalis o intermedio, condizione del Passaggio, della Soglia, che è fatto di ri-frazione e ri-flesso (non solo lo specchio e l’accecamento che pure c’è, ed è cercato, ma anche la doppia flessione devozionale della curvatura pensiero e dell’Io) in un gesto irreversibile di kenotico svuotamento, di decomposizione della materia al suo stato di luce. Tavole di Luce.
Anche Luciano Martinis da tempo si aggira nei territori vaghi dell’arte dove forze agiscono secondo leggi da apprendere “a bottega”: il suono alimenta lo spirito, il segno informale ha il potere di dannare chi lo traccia, mentre il bianco della tela accoglie leggi metafisiche di ricostruzione spazio-temporale… Proprio la lettura del saggio di Florenskij ha contribuito, nella ricerca di Luciano Martinis, a definire il lavoro sull’assenza che rivela la presenza, sul bianco che ospitando le relazioni fra gli elementi dell’opera fa intuire quelle universali. Una ricerca iniziata nel 2003 con la serie Blanc Mesnil e culminata con la mostra Blanc dal blanc (Cormons, 2017).
Scrive Luciano Martinis:
Oro su bianco
Citazioni secessioniste o labirintiche filigrane barbariche, oppure aviluppi/sviluppi di crescite vegetali – ? al contrario: forme dall’origine segreta e nascosta. Nate per creare l’illusione di un’opulenza, di uno spessore che in realtà nasconde il vuoto: con semplici scarti di lavorazione (scisulis) l’artigiano ha creato un vespaio, dando solida concretezza a sottili fogli di compensato. Meandri perfettamente nascosti, labirinti segreti e impraticabili; spirali senza speranza si aprono alla vista, sezionate.
Manipolazioni successive conferiscono estensione estetica a quella Prima Materia: l’idea, le sue leggi compositive, gli equilibri formali, gli strati di bianco (da cui poi il nome), ed infine le casuali eccezioni arricchite dal più nobile dei metalli, l’ORO.
Di nuovo e paradossalmente… per creare illusioni.
Perchè l’oro
“Chi guarda non vede ciò che è raffigurato con l’oro: l’oro è senza oggetto.”*
Con queste parole Pavel Florenskij si riferisce all’uso dell’oro nel saggio Le Porte Regali. Segue: “…i colori e l’oro appartengono a distinte sfere dell’essere. L’oro non ha colore anche se ha un tono. Esso è astratto, in un certo senso esso è analogo alla striscia dell’incisione, essendone il polo opposto. Una striscia nell’incisione è infatti bianca, non è astratta e fa parte della serie dei colori: perciò non si può vedere come positiva in rapporto a un negativo che è in realtà astratto: la striscia nera. Il positivo di questa è l’assistka d’oro, pura luce, in contrapposto alla sua semplice assenza…”
Piuttosto interessante: ciò che formalmente appariva come soluzione ovvia, riceveva una precisa teorizzazione, sebbene riferita alla pittura di icone – un contesto piuttosto lontano dalla mie intenzioni.
Per il pittore di arte sacra l’essere credente è un imprescindibile fattore di massima e il risultato finale è la proiezione materiale della propria esperienza mistica: l’oro archetipico è astrazione del concetto del divino, puro bagliore che si allontana e distingue dalla materialità dei colori.
L’esatto contrario di un processo creativo che parte dalla bruta materia per arrivare a…
Curioso poi come Florenskij consideri il bianco alla stregua di un colore, cosa che in pittura è considerata un’eresia.
Il bianco è però ricettacolo teorico di tutti i colori, quindi piuttosto difficile da catalogare. Dai suoi rapporti d’ombra scaturiscono forme cangianti, impalpabili, che dipendono da luogo e ora, imprevedibili nella loro instabilità, pertanto estremamente esoteriche, stimolanti e cariche d’informazioni.
L’oro, nella sua metallicità e freddezza, è come lama che trancia; riaffermando, in tutt’altro contesto, la metafora del suo attributo divino.
* Pavel Florenskij, Le Porte Regali. Saggio sull’icona. Adelphi, Milano, 1977. A cura di Elémire Zolla.
Nicola Cisternino
Diplomato presso il Conservatorio Arrigo Boito di Parma e laureato presso il DAMS di Bologna, Nicola Cisternino è allievo per la composizione di Sylvano Bussotti presso la scuola di musica di Fiesole e di Genazzano. Dalla fine degli anni Settanta il suo originale percorso di ricerca si concretizza in particolari forme di scrittura musicale, i “Graffiti Sonori”, opere che intendono sperimentare trame inedite di relazione tra il segno grafico e il suono nella partitura musicale. La sua attenzione come musicista e compositore si rivolge alla musica intesa come «materializzazione dell’intelligenza che è nel suono», seguendo l’illuminante assunto del compositore Edgard Varèse (ispirato dal filosofo polacco Józef Maria Hoene-Wronski), verso il suono scevro da qualsiasi forma di pregiudizio culturale, accademico o di sudditanza a categorie precostituite.
Tra le innumerevoli iniziative artistiche di cui Nicola Cisternino è stato partecipe e progetti di cui si è reso promotore e curatore, nel 1997 e 1998 viene invitato dagli Ateliers UPIC, lo studio elettroacustico creato da Iannis Xenakis a Parigi, come compositore en résidence, mentre nel 2004 e 2005 è artista en résidence presso l’Abbaye Royale de Fontevraud (Patrimonio Unesco) su invito del Ministero della Cultura francese.
Nel 2009 ha realizzato due importanti lavori in occasione dell’inaugurazione della mostra “L’uomo vitruviano tra arte e scienza” presso le Gallerie dell’Accademia di Venezia.
«La poetica musicale e artistica di Nicola Cisternino si nutre di simboli archetipi, suoni ancestrali che non scandiscono il tempo in maniera cronologica e sequenziale, ma piuttosto tendono a renderlo circolare, seguendo Aiön e non Kronos, il tempo qualitativo e non quantitativo, quel tempo che fa emergere lo spazio d’Ascolto, dove il silenzio non è solo sinonimo di ricchezza, ma è innanzitutto condizione necessaria per il «suono in quanto ascolto». (Renzo Cresti)
Le Preghiere e i ritratti segnoiconici dei Caminantes si collocano proprio in questo tempo Altro, il tempo dell’Ascolto, quale possibile via per oltrepassare quel «limen» che è affine a «principium», quella soglia che consente il passaggio, ma non definisce un confine, bensì è inclusiva, tende a creare relazioni, a mettere in comunicazione, a creare dei ponti verso Altri possibili.
Luciano Martinis
Luciano Martinis è nato ad Ampezzo (Udine) nel 1946.
Ha compiuto studi artistici presso l’Accademia di Belle Arti di Roma con Pericle Fazzini, ha lavorato nello studio degli scultori Dino Basaldella, Gianni Grimaldi, Guerrino Mattia Monassi; nel 1971, ha terminato il Corso Superiore di Disegno Industriale e Comunicazioni Visive con la tesi “Rapporti fra Suono e Immagine” relatori: Achille Perilli e il compositore Franco Evangelisti.
Parallelamente alla sua attività artistica (mostre di pittura e scultura in Cile, Perù, Francia, Italia e Slovenia) dal 1969 al 1978 ha lavorato in sperimentazione teatrale (Gruppo Altro, Roma); dal 1972 al 1974 ha insegnato Comunicazioni Visive, Storia delle Avanguardie Storiche, Teoria dell’Informazione presso l’Universidad Catòlica de Chile, a Santiago; dal 1969 ha collaborato a vario titolo alle seguenti riviste: Marcatré, Harck, Grammatica, Nuova Generazione, Rassegna dell’Istruzione Artistica,The world of musique, dal 1982 al 2012 ha diretto la casa editrice Le parole gelate, dal 1987 è Vice-presidente a vita della Fondazione musicale Isabella Scelsi in Roma. Attualmente è direttore artistico dello Spazio creativo della Casa del Gastaldo ed è impegnato nell’organizzazione dei propri archivi e collezioni personali, per la futura apertura di uno Spazio culturale nel suo paese d’origine, Ampezzo.
Realizziamo questo evento in collaborazione con Opificio 330.
La mostra si inaugura sabato 22 Aprile alle ore 18.00 e resterà visitabile fino al 14 maggio 2023, su appuntamento.